Streaming Musicale e CD: le case discografiche diventano 2.0

Il mantra sembrava tanto diffuso da divenire inarrestabile: bastava rivolgere l'orecchio a qualsiasi operatore di una casa discografica per sentir chiamare in causa internet come vero e proprio flagello digitale nel comparto musicale. Il web non era nient'altro che un vorace Attila 2.0, capace di non far crescere più l'erba dei profitti laddove si fosse tentato di fare ancora del business discografico
Certo, andando a scrutare bene nel marasma delle concause, il fatto che i CD avessero ormai raggiunto prezzi al consumo proibitivi per la fascia di fruitori verso i quali questo prodotto culturale era rivolto (i giovani ed i giovanissimi) doveva essere molto più scomodo da evidenziare o sottolineare. 
Eppure le ultime notizie sembrano ribaltare completamente quelli che erano ormai stereotipi acquisiti sul mercato musicale italiano degli anni 2000 - 2010. Dopo dieci anni di discesa continua, il CD torna nuovamente a crescere. Cosa più importante, questo fondamentale punto di svolta si verifica in contemporanea ad una ulteriore crescita delle vendite musicali digitali.
Il fenomeno appena descritto, da solo, avrebbe molto da insegnare a chi osservava continuamente che le vendite di CD erano frenate dalla diffusione legale ed illegale di musica online. Al contrario, chi sostiene da sempre che i file musicali possano aiutare a far conoscere ed apprezzare un musicista e di conseguenza a far vendere più copie fisiche, potrebbe oggi togliersi più di un sassolino dalla scarpa.
Altro importante cambiamento di paradigma all'orizzonte è la monetizzazione dello streaming musicale online da parte delle case discografiche e dei detentori dei diritti musicali. E' di questi giorni la notizia di un accordo tra il famoso portale di videosharing Youtube e la Siae per i diritti musicali associati ai video trasmessi online.
Nel frattempo, Fimi afferma che negl'anni dal 2007 ad oggi lo streaming musicale ha prodotto per le case discografice un incasso di oltre cinque milioni di euro. Insomma, verrebbe proprio da pensare che qualcosa di buono internet lo potesse portare alle case discografiche, e che forse le risorse in termini di denaro e tempo speso a caccia del ragazzino che fruiva di un file scaricato da emule avrebbero potuto portare a risultati di fatturato molto migliori se spesi diversamente.
La verità è che mancava probabilmente una reale alternativa legale alla distribuzione selvaggia dei file musicali in formato Mp3; nel momento in cui quest'alternativa ha cominciato a prendere consistenza ed è divenuta utile e comoda per il consumatore musicale, il problema della pirateria ha cominciato a vedere finalmente delle possibili soluzioni.
Il mio intuito mi suggerisce che i risultati migliori stiano finalmente arrivando proprio mentre le case discografiche hanno smesso di recitare la parte delle povere vittime ed hanno preso la strada di una modernizzazione dell'offerta musicale ormai necessaria. Un cambiamento di paradigma che era richiesto dallo stesso pubblico di riferimento; ma anche un cambiamento che difficilmente poteva ulteriormente essere rimandato senza un'ulteriore disaffezione dei propri clienti.
Il mercato ha parlato e le case discografiche sono finalmente divenute 2.0 ed hanno cominciato nuovamente a rispondere.

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