Riporto un contributo pubblicato sul web a cura di Chiara Moretti, che reputo di sicuro interesse per comprendere le attuali politiche commerciali e lavorative praticate nel mondo della produzione cinematografica.
Vengo chiamata a lavorare come aiuto regia per il pilota di una trasmissione “talk-kitchen”, vale a dire un ibrido in cui con la scusa di preparare ed insegnare al pubblico una ricetta un personaggio famoso o quasi ne intervista un altro famoso o quasi che lo aiuta a cucinare. Naturalmente, mi viene detto, non è prevista retribuzione, ma fa niente, fai esperienza e poi se qualcuno comprerà questo pilota sarai tu a lavorarci. Accetto con discreto entusiasmo.
Partecipo alle riunioni con interesse, ascolto, osservo com’è che si fa a tavolino, questo lavoro. Mi alzo alle cinque il giorno delle riprese, arrivo sul posto, e lavoro senza sosta (fatta eccezione per la pausa pranzo) per circa dodici ore di fila, compreso risistemare e ripulire la casa che abbiamo usato per il set e per cui, a quanto pare, i soldi c’erano. Nessuno percepisce un guadagno da questo pilota, ma la mia impressione è che alcuni di noi ne avrebbero più bisogno di altri. In questo caso operatori, aiuti vari, assistenti di produzione.
La “manovalanza” insomma. La stessa manovalanza, penso, senza la quale sarebbe stato molto molto difficile realizzare questo pilota. Altro giro, altro set.
Stavolta mi trovo sul set di un film (wow, un vero film!). Mi si parla di due mesi di preparazione per tre settimane di set. Naturalmente la preparazione non è retribuita e il set è pagato il minimo sindacale (150 euro a settimana). Stavolta a me è andata meglio che ad altri. Stagisti e attori non sono retribuiti, io sono quella, in quanto assistente alla regia, che ha il compito di raccontare cazzate agli attori per convincerli che lavorare senza essere pagati non solo è gratificante, ma è quasi giusto.
In fondo questo film sarà (tadaaaan) distribuito al cinema e dunque “avrai una certa visibilità!”. Tappandomi il naso decido di mettere da parte i buoni sentimenti e per la filosofia “meglio-a-lui-che-a-me” mi butto con entusiasmo a fare il mio lavoro, di circa dodici ore al giorno, per due mesi. Nonostante sia tutto gratis ogni mattina arrivo a cinecittà con un sorriso da orecchio a orecchio, e caspita, non è questo che conta? Dopo due mesi, a due giorni dall’inizio della prima settimana di set, e dunque anche del PRIMO SETTIMANALE, il regista viene arrestato, il film bloccato, e tutti a casa arrivederci e grazie.
Mi viene da piangere, e credetemi, in quel momento i soldi sono l’ultimo dei miei pensieri. Ricordate il pilota di cui sopra? Ebbene, circa due mesi dopo vengo contattata dalla società che si era fatta carico del progetto per assistere il regista nel montaggio. Naturalmente non è prevista retribuzione, e Naturalmente mi chiamano solo il giorno prima, dicendomi “domani devi presentarti a questo indirizzo alla tal ora”. E come faccio? Sono mesi che proprio quel giorno ho un appuntamento importantissimo con un notaio. Del resto, se comincio a dire di no anche quando mi chiamano, nessuno lo farà più. Il direttore della fotografia, che mi ha contattata, insiste molto su questo punto.
Quindi parto, viaggio andata e ritorno per quasi 4 ore nel traffico della Nomentana, e con la modica cifra di 50 euro faccio un atto di delega a mia madre. Totale spesa: 80.00 euro. Soldi che non potevo permettermi di spendere, ma ben spesi, mi dico. La mattina dopo puntualissima sono sul luogo dell’appuntamento. Aspetto. Aspetto. Chiedo se è possibile chiamare il regista.
Quest’ultimo comunica (ad altri) che avendo all’ultimo momento il direttore della fotografia deciso di non essere al lavoro quel giorno, lui che viene a fare? E quindi è tutto rimandato arrivederci e grazie. Mi incazzo, strillo un po’ e sotto pressioni varie il regista decide di concedermi udienza. Parcheggia sotto gli uffici, e mentre qualcuno controlla che non gli facciano la multa, sale, dà un’occhiata al girato (dieci minuti per visionare 10 ore di girato circa) e poi dice che si monterà la prossima settimana e se ne va. Risultato: nessuno mi ricontatta per assistere al montaggio, e io sono al punto di partenza. Meno 80.00 euro.
Partecipo al corto di un’amica. Naturalmente non è prevista retribuzione. Poco male, se c’è un lavoro che farei volentieri gratis, è quello di aiutare lei a realizzare il suo corto. Le chiedo ingenuamente come fa a fare un corto senza soldi. Mi risponde che è una questione di favori. Tu lavori gratis per me e io lo faccio per te la volta successiva.
Mi fa tenerezza. Rifletto sul fatto che noi giovani attori, aspiranti registi, operatori,scenografi, abbiamo così bisogno, così disperatamente voglia di fare questo lavoro, che lo abbiamo trasformato in un sistema di DO UT DES. Ci siamo arrangiati, riorganizzati, affinché nonostante le medie e grandi produzioni ci snobbino, possiamo comunque fare ciò per cui abbiamo faticato tanto senza contare su di loro. Cinema Indipendente, lo chiamano.
E’ bello. E’ poetico.
Solo che porta inevitabilmente a trovarsi di continuo senza soldi, e nonostante lavorare in uno spettacolo teatrale o su un set di un corto, o alla preparazione di entrambi porti via molto (aiutatemi a dire molto) tempo e molto denaro,certamente più tempo e denaro di qualunque altro lavoro medio, nonostante in molti casi hai studiato molto, anni, per fare quello che fai, bisogna trovarsi un VERO mestiere. E cascare così nella rete di chi ti chiede “che lavoro fai?” e quando rispondi ad esempio“l’attore” ribatte o “in che fiction?” o “e che lavoro VERO fai?”.
Ed ecco che sfilano davanti a me attori-camerieri, aiuto registi- barman, assistenti di produzione-commesse e, nei casi in cui si è anche dotati di discreto fascino, attrici-modelle, fotomodelle e così via. Nei casi più fortunati, si è costretti, a 25, 26, anche 30 anni a chiedere una mano, una sostanziosa mano ai propri genitori. Nei meno fortunati, in cui bisogna lavorare per vivere, l’unica cosa che ti vedevi davvero a fare, l’unico lavoro che amavi, per cui ti sentivi portato, per cui avresti fatto QUASI qualunque cosa si riduce presto ad Hobby, per poi essere abbandonato definitivamente.
Ora, non è certamente la rivoluzione che voglio fare con questo racconto sfigato di vita vissuta, solo focalizzare l’attenzione su un problema che si sta allargando a macchia d’olio, su un atteggiamento che, nel momento in cui è giustificato e sacrosanto nel caso di un’aspirante regista di 20 anni che vuole ad ogni costo realizzare il suo corto, non lo è nel caso di qualunque progetto dietro il quale ci sia una produzione, anche minuscola. La mia idea sarebbe “se non hai i soldi per farlo, allora non lo fai”, ma so che sarebbe troppo bello, e che per quanti si rifiuteranno di lavorare senza avere ALMENO un rimborso spese, ce ne saranno tanti altri, che ne hanno la possibilità, che saranno disposti a farlo. Solo riflettete su questo:
Due settimane fa sono stata contattata per fare la comparsa su BORIS-il film.
NATURALMENTE NON ERA PREVISTA RETRIBUZIONE. Ragazzi, se non è auto-ironia, questa.
Chiara Moretti
10.08.2010
Fonte: Comedonchisciotte.org
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